NEWS 18 / 15.06.2020 Diritto procedurale - "Recupero crediti in Svizzera e in Italia al tempo del coronavirus"

Pubblicato in News dai soci, Camera di Commercio Italiana per la Svizzera

In tempi di incertezza dovuti al Coronavirus, stabilità economico-finanziaria e liquidità aziendali possono essere messe a dura prova. Pertanto diviene indispensabile, nell’ottica di un adeguato risk management, essere in grado di prevenire possibili problematiche di pagamento anche da parte di clienti nazionali ed esteri o, viceversa, della stessa propria azienda nei confronti dei fornitori locali o stranieri.

Il nostro territorio di riferimento naturale (Insubria e Moesano) è notoriamente caratterizzato da forte permeabilità a livello commerciale, lavorativo e sociale in genere. Gli interscambi fra le regioni attigue italo-svizzere sono di importanza basilare per entrambi i lati dei confini politici nazionali e la gestione dei rapporti transfrontalieri, in senso lato, è di primaria importanza a tutti i livelli, anche e soprattutto a livello aziendale nella gestione dei propri partner/clienti e clienti d’oltre confine.

Le insicurezze finanziarie imprenditoriali sono ad oggi presenti sia in Italia, sia innegabilmente anche in Svizzera. In Italia perché le misure governative di rilancio hanno stentato a partire e ancora oggi non si rivelano efficaci, in un contesto alquanto complicato; in Svizzera perché gli effetti positivi dei sostegni economici e dei “prestiti Covid” elargiti finiranno, persino potrebbero avere effetti negativi sui bilanci societari già entro il 31.12.2020. La Confederazione ha, infatti, emanato a riguardo un’ordinanza prevedente la sospensione dell’obbligo di depositare i bilanci in caso di sovraindebitamento, che però decadrà entro tale termine. L’art. 1 dell’ordinanza Covid 19 – Insolvenza recita infatti:

“In deroga all’articolo 725 capoverso 2 del Codice delle obbligazioni (CO), il consiglio d’amministrazione può rinunciare ad avvisare il giudice, se il 31 dicembre 2019 la società non presentava un’eccedenza di debiti e vi sono prospettive che l’eccedenza possa essere eliminata entro il 31 dicembre 2020”.

Ciò comporta che le aziende svizzere, che sperano di superare la crisi attuale entro il 31 dicembre del corrente anno, continueranno ad operare e non dovranno depositare i bilanci se ritengono di avere prospettive di ripresa. Tali aspettative si potranno verificare verosimilmente non prima dell’autunno in molti casi. Sui creditori ricadrà perciò nel frattempo pressoché tutta la responsabilità nell’individuare eventuali segnali negativi più o meno ufficiali su tali aziende.

Al fine di potere adeguatamente programmare e gestire la propria impresa anche in punto ai rischi finanziari e in specie inerenti al cash flow, diviene oggi perciò necessario (ri)valutare con dovuto anticipo i rapporti contrattuali sottoscritti con le proprie controparti straniere, onde verificarne il contenuto specifico circa rispettivi obblighi e doveri, e possibilmente prevenire l’insorgere di possibili problemi giuridici o quantomeno avere cognizione circa le tempistiche di risoluzione degli stessi e le misure da attuare per mitigare i corrispettivi rischi.

Se ad esempio una ditta elvetica annoverasse diversi clienti italiani dai quali attende cospicui pagamenti dal peso specifico di bilancio rilevante, occorrerebbe sapere con dovuto anticipo se, in uno scenario “worst case” di generale mancato pagamento, sarà possibile inoltrare una causa in Svizzera o in Italia, se e in quale Stato saranno a disposizione dei mezzi cautelari a tutela dei più immediati interessi o a garanzia del buon fine delle future procedure di incasso (preventivo sequestro di patrimoni o redditi del debitore).

Specularmente i fornitori italiani di ditte elvetiche avranno identico interesse ad essere informati sulle conseguenze contrattuali, procedurali ed esecutive in particolare, per potere garantirsi cautelativamente e poi conseguire il dovuto pagamento od ottenerne l’incasso forzato dalle aziende debitrici site sul territorio dell’altro Stato.

Gli aspetti su cui occorre chinarsi sono molteplici e meritano specifica consulenza legale che giocoforza integri diritto italiano ed elvetico. Di seguito un elenco non esaustivo delle domande che necessiteranno di un’analisi giuridica:

–  Come procedere alla messa in mora del debitore e sulla base di quale diritto secondo il contratto siglato fra le parti?

–  È ancora possibile/opportuna una trattativa stragiudiziale e in che misura?

–  Come raccogliere le informazioni preliminari necessarie circa il carico delle pendenze esecutive o su dimora/domicilio del debitore?

–  Si dispone già di un titolo definitivo di rigetto dell’opposizione ai sensi del diritto svizzero? E di un titolo esecutivo ai sensi del diritto italiano?

–  Come ottenere il riconoscimento internazionale della condanna al pagamento di uno Stato se voglio/devo procedere in via esecutiva sul territorio dell’altro Stato?

–  In assenza di titoli esecutivi, in quale delle due giurisdizioni e innanzi a quale tribunale si potrà/dovrà invece dapprima ottenere l’accertamento giudiziario della pretesa?

–  In quale giurisdizione e come si potrà poi procedere in via esecutiva nei confronti del debitore?

–  In quale giurisdizione e come è possibile assicurarsi il sequestro preventivo di beni del

debitore a garanzia del buon fine delle successive procedure esecutive?

–  Quali sono i mezzi difensivi del debitore, nelle diverse giurisdizioni, di cui si deve tenere

conto nelle procedure di accertamento del credito e in quelle esecutive?

–  Come impattano le ferie ufficiali sul decorso delle procedure di accertamento del credito rispettivamente in quelle esecutive e, in specie, in quelle “urgenti” di sequestro?

–  Quali sono i costi delle suddette procedure e quali posso sperare di recuperare dal debitore?

–  Quali tempistiche di risoluzione del caso sono attendibili?

La trattazione degli aspetti insiti nelle domande qui sopra elencate necessiterebbe di un contributo alquanto più esteso ed articolato.

In questa sede ci si potrà pertanto limitare ad alcune prime puntuali indicazioni dal profilo giuridico, partendo dal presupposto che già sussista una decisione di condanna del debitore al pagamento del credito che possa essere riconosciuta nell’altro Stato.

In Italia l’applicazione della normativa convenzionale internazionale, garantita dalla Costituzione italiana e confermata dalla legge n. 218/95 di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, trova espressione, in materia di riconoscimento ed esecuzione delle decisioni straniere, nella Convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968, concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale, ratificata con legge 21 giugno 1971, n, 804, e nella Convenzione di Lugano del 16 aprile del 1988 fra gli Stati membri della CEE e gli Stati aderenti all’EFTA, ratificata con legge 10 febbraio 1992, n. 198, avente il medesimo oggetto. Come si evince facilmente dallo stesso nome, quest’ultima convenzione rileva specularmente per quanto attiene alla Confederazione elvetica nei confronti degli altri Stati firmatari, in specie l’Italia.

Entrambe le Convenzioni (art. 31 risp. art. 38) prevedono che le decisioni rese in uno Stato contraente e quivi esecutive, sono eseguite in un altro Stato contraente dopo essere state ivi dichiarate esecutive, su istanza della parte interessata, salva la possibilità per la parte contro cui viene fatta valere l’esecuzione di proporre opposizione (art. 36) risp. ricorso (art. 43) nel termine di un mese dalla notificazione della decisione.

L’istanza di riconoscimento ed esecuzione di una decisione straniera, formulata secondo le modalità stabilite dalla legge dello Stato richiesto, deve essere corredata dei documenti indicati dagli articoli 46 e 47 risp. 53 e 54 delle Convenzioni.
La Convenzione di Bruxelles del 1968 come quella di Lugano del 1988, che prevedono l’esecuzione del titolo esecutivo straniero (costituito dalla decisione straniera e munita di formula esecutiva, resa con provvedimento inaudita altera parte, ovvero senza il confronto dialettico con il debitore), subordinano l’immediata esecutorietà della decisione straniera alla mancata interposizione dell’opposizione.

In tale caso, infatti, l’articolo 38 risp. 46 delle Convenzioni, stabilisce che il giudice davanti al quale è proposta l’opposizione può, su istanza della parte proponente, sospendere il procedimento se la decisione straniera è stata, nello Stato d’origine, impugnata con un mezzo ordinario o se il termine per proporre l’impugnazione non è scaduto; in questo ultimo caso il giudice può fissare un termine per proporre tale impugnazione.

In pendenza del termine per l’opposizione alla dichiarazione d’esecutività, è possibile soltanto procedere “a provvedimenti conservativi sui beni della parte contro la quale è chiesta l’esecuzione” (art. 39 risp. 47 delle Convenzioni).
Ottenuto il riconoscimento della decisione straniera si potrà infine procedere mediante esecuzione forzata ovvero tramite istanza di fallimento o di esecuzione personale, a seconda del soggetto giuridico nei confronti del quale si procede.

I provvedimenti provvisori o cautelari, previsti dalla legge di uno Stato contraente, possono essere richiesti all’autorità giudiziaria di detto Stato anche se, in forza della presente convenzione, la competenza a conoscere nel merito è riconosciuta al giudice di un altro Stato contraente che emetterà perciò una sentenza (art. 28 risp. 31 delle Convenzioni).

In Svizzera, a maggior ragione, anche quando il creditore dispone già di un titolo definitivo (estero) di rigetto dell’opposizione ai sensi dell’art. 271 cpv. 1 cifra 6 della legge federale sull’esecuzione e fallimento (LEF), come ad esempio di un decreto ingiuntivo esecutivo italiano, questi può procedere al sequestro di beni del debitore avente sede su suolo elvetico e, in seguito, richiedere tout court la continuazione dell’esecuzione in Svizzera. Va ottenuto il riconoscimento da parte del giudice svizzero del titolo estero esecutivo conformemente alla Convenzione di Lugano. Il conseguente sequestro, il cui foro svizzero è ritenuto ammissibile ai sensi della Convenzione di Lugano ai sensi dell’art. 22 cifra 5, può rivelarsi efficace perché interviene in una primissima fase in via superprovvisionale, senza il confronto dialettico con il debitore, fatto che permette di sorprendere quest’ultimo ed evitare che possa sottrarsi alla misura di blocco degli averi. Il debitore potrà in seguito interporre opposizione al sequestro cosicché il creditore dovrà allora, entro dieci giorni dalla notificazione del precetto esecutivo, inoltrare domanda di rigetto definitivo dell’opposizione o promuovere l’azione di accertamento del suo credito (art. 279 cpv. 2 LEF). Se il debitore non interpone opposizione, il creditore dovrà richiedere la continuazione dell’esecuzione entro venti giorni dalla notificazione del precetto esecutivo (art. 279 cpv. 3 LEF). Se l’opposizione è stata rimossa, il termine decorre dal passaggio in giudicato della decisione. Analogamente a quanto visto sopra, l’esecuzione andrà proseguita dal creditore.

Come sopra già evidenziato, quanto qui esposto rappresenta solo una parte della complessità del recupero crediti transfrontaliero, la cui rilevanza à data già sin dalla stesura dei contratti, passando poi alle fasi stragiudiziali e quindi giudiziarie per l’accertamento delle pretese, giungendo infine a riconoscimento/dichiarazione di esecutività internazionali e conseguenti procedure esecutive o fallimentari del caso.

Il nostro Studio legale e i nostri Partner italiani sono pertanto volentieri a disposizione per accompagnare il Cliente nelle adeguate verifiche e nei dovuti chiarimenti del caso in Svizzera e in Italia.

NEWS 17 / 29.03.2020 Diritto procedurale - "Procedure esecutive e giudiziarie al tempo del coronavirus"

Nella precedente News 16 “Pagamento di pigioni/canoni d’affitto abitativi/commerciali e traslochi al tempo del Coronavirus”, si è evidenziato in particolare come in ambito locativo i termini di disdetta straordinaria per mora del conduttore/affittuario siano stati prorogati da 30 a 90 giorni, rispettivamente da 60 a 120 giorni: l’incasso di pigioni e fitti diviene già per questo più complicato e lungo.

Dal punto di vista procedurale si è inoltre parallelamente predisposto, non solo in merito ad affitto e locazione, l’estensione delle ferie giudiziarie ed esecutive pasquali.

Il Consiglio federale ha, infatti, esercitato la propria competenza in caso di epidemia (art. 185 Costituzione federale, art. 62 Legge federale sull’esecuzione e sul fallimento, LEF), ordinando tali estensioni laddove già previste per il periodo pasquale in procedimenti civili, esecutivi ed amministrativi. In questi procedimenti le ferie sono quindi iniziate prima e andranno dal 21 marzo fino al 19 aprile 2020 incluso.

Detto altrimenti, se il diritto procedurale federale o cantonale applicabile già prevedevano la sospensione dei termini stabiliti da legge/autorità o giudice durante i giorni antecedenti o successivi a Pasqua, i suoi effetti sono stati anticipati alla data di entrata in vigore dell’ordinanza e protratti sino al 19 aprile 2020 incluso. Gli effetti della sospensione restano invece disciplinati dal diritto procedurale in specie applicabile. Il provvedimento si applica a tutti i procedimenti secondo il diritto federale o cantonale, fatto salvo i procedimenti in cui già oggi non sono previste ferie giudiziarie, come cause urgenti e procedimenti penali.

Benché non sia stato ordinato su scala nazionale il rinvio di tutte le udienze o la rinuncia a notificare sentenze e decisioni, tribunali e autorità federali e cantonali stanno opportunamente facendo uso del proprio margine di manovra per estendere la sospensione delle attività in tutte le procedure civili, amministrative e penali, rinviando udienze non urgenti, sospendendo l’invio di citazioni o lo svolgimento di udienze, oppure chiudendo le cancelleria al pubblico (cfr. a titolo esemplare Decreto esecutivo del Consiglio di Stato ticinese 20 marzo 2020Comunicazione del Dipartimento delle istituzioni 16 marzo 2020e Comunicazione Obergericht des Kantons Zurich 16 marzo 2020, Comunicazione online Tribunale regionale Moesa).

In linea generale si può osservare come le autorità garantiscano unicamente prestazioni essenziali ritenute non procrastinabili, indispensabili e d’urgenza(anche laddove non siano previste ferie giudiziarie o amministrative), con evidente comprensibile rallentamento generale del disbrigo delle pratiche e conseguente prevedibile accumulo delle stesse.

Il Consiglio federale monitorerà l’evolversi della situazione e non si possono ad oggi escludere ulteriori misure ulteriori o il protrarsi delle attuali misure nel tempo, a seconda dell’andamento della pandemia in corso.

Ferie esecutive anticipate

A seguito dell’ordinanza del Consiglio federalee della correlata concessa sospensione generale (art. 62 LEF) non si può oggi procedere ad atti esecutivi, come l’emissione di un precetto contro un debitore.

Sono ancora esigibili in quanto non ritenuti atti esecutivi (se non saranno ulteriormente “filtrati” dagli ufficiali esecutivi), provvedimenti urgenti quali sequestri (art. 271 LEF) e altri provvedimenti come, fra gli altri, l’allestimento di inventario (art. 57 LEF), presa in custodia di beni mobili (art. 98 LEF), avvisi a terzi debitori (ad es. datore di lavoro) (art. 99 LEF) o provvedimenti conservativi nell’ambito di un fallimento (art. 179 LEF).

Per quanto attiene all’interruzione della prescrizione di crediti tramite atti di esecuzione (art. 135 cifra 2 CO), si osserva come la stessa non sembri toccata a nostro avviso dall’ordinanza sulla sospensione dei termini, essendo l’interruzione garantita già dal semplice invio postale della domanda di esecuzione (formulario del creditore); non è perciò necessaria a riguardo l’emissione del conseguente precetto esecutivo (la notifica dell’atto da parte dell’ufficiale esecutivo al debitore).

Ferie giudiziarie anticipate

Facendo uso della propria competenza, discendente dall’art. 185 della Costituzione federale, il Consiglio federale ha altresì prolungato, tramite sua ordinanza specifica, le ferie giudiziarie civili e amministrative, solo laddove queste sono già previste dal diritto procedurale applicabile.

Va osservato come per le procedure civili cautelari (procedure sommarie), divieti giudiziali, tutela in casi manifesti e di conciliazione, fra le altre, non sarebbero previste tali ferie (art. 145 CPC). Come sopra già esposto, le autorità hanno però già fatto abbondantemente uso del proprio margine di manovra, limitando così l’attività anche in tali ambiti al più stretto e improrogabile necessario. Pertanto, vi è da attendersi che la trattazione di istanze conciliative (anche in materia di locazione o affitto), così come di domande vertenti su provvedimenti cautelari, sia più probabilmente posposta a dopo le ferie giudiziarie.

News 16 / 28.03.2020 - Diritto privato - "Pagamento di pigioni/canoni d'affitto abitativi/commerciali e traslochi al tempo del Coronavirus"

Il 28 febbraio 2020 il Consiglio federale ha ordinato provvedimenti in considerazione della situazione particolare secondo l’articolo 6 capoverso 2 lettera b della legge sulle epidemie (LEp; RS 818.101) e vietato a tempo determinato su tutto il territorio svizzero manifestazioni pubbliche e private a cui siano presenti contemporaneamente oltre 1000 persone (ordinanza del 28 febbraio 2020 sui provvedimenti per combattere il coronavirus [COVID-19]; RS 818.101.24). L’ordinanza è stata sostituita il 13 marzo 2020 dall’ordinanza 2 COVID-19, da allora adeguata più volte, sino a giungere al divieto totale di manifestazioni pubbliche e private. Ieri il Consiglio federale ha regolato le questioni del pagamento di canoni di affitto/pigioni, così come quella dei traslochi (Ordinanza COVID-19 locazione ed affitto).

Pagamento di pigioni e canoni d’affitto in generale (abitativi e commerciali)

Il Consiglio federale ha dato primi importanti indirizzi giuridici sul tema dei pagamenti, avendo prorogato ieri da 30 a 90 giorni il termine di disdetta straordinaria previsto all’articolo 257d cpv. 1 CO per i locali d’abitazione o commerciali in mora nel pagamento. La proroga del termine vale per le pigioni e le spese accessorie che giungono a scadenza nel periodo compreso tra il 13 marzo e il 31 maggio 2020. Alle stesse condizioni è stato prorogato da 60 a 120 giorni il termine di pagamento di fitti scaduti previsto all’articolo 282 cpv. 1 CO. Inoltre è stato prorogato da due settimane a 30 giorni il termine di preavviso, molto breve in base all’articolo 266e CO, per le camere ammobiliate e i posteggi.

Alla luce di quanto sopra, è ad ogni modo raccomandabile un’attenta analisi del contratto in essere sia a locatori sia a conduttori e affittuari, prima di intraprendere qualsiasi misura.

Canoni d’affitto e pigioni di locali commerciali: dovuti?

Sussiste a riguardo un’intensa diatriba ad oggi fra giuristi, dovuta anche all’eccezionalità della situazione attuale che comporta una ristrettezza di giurisprudenza e dottrina di riferimento. Le contrapposte opinioni si scontrano sul punto di chi debba sopportare l’attuale situazione straordinaria d’emergenza fra locatore e conduttore/affittuario di locali commerciali (non abitativi) che blocca l’attività di quest’ultimo. A riguardo sussistono alcune decisioni del TF che sembrano accollare al locatore responsabilità per situazioni al di là dell’edificio stesso (ad es. immissioni di cantieri vicini) a prescindere da una colpa di quest’ultimo (ad es. sentenza TF 4C.377/2004), mentre che diversa dottrina ritiene che il COVID-19 non sia un “difetto dell’immobile” ai sensi degli artt. 258 CO e 259a e segg. CO per cui possa essere chiamato a rispondere il locatore.

Le misure di proroga dei termini di disdetta, di cui si è detto sopra, unitamente alla concezione agevolata di crediti alle aziende garantiti dalla Confederazione, vanno a nostro avviso piuttosto a sostegno di chi ritiene che pigioni ed affitti commerciali (vedi sopra) siano ad oggi comunque dovuti sulla base del diritto della locazione e dell’affitto, nonostante la situazione di emergenza. Non si può però ad oggi escludere che i Tribunali elvetici possano decidere una correzione, applicando il principio generale della cosiddetta clausola rebus sic stantibus che, in parole semplici, comporta che al radicale ed imprevedibile successivo cambiamento di condizioni/contesto dati alla sottoscrizione del contratto di locazione/affitto di locali commerciali debba potere di massima corrispondere un conseguente adeguamento delle clausole contrattuali sulla base della buona fede (e dunque riduzione di pigione/fitto causa disequilibrio contrattuale creato dal coronavirus).

Occorre evidenziare che, nel caso del cosiddetto affitto d’azienda commerciale, quanto sopra non vale necessariamente ed andrà eseguita un’analisi separata.

È nell’interesse di entrambe le parti contrattuali non esacerbare il confitto e riuscire a convergere verso una soluzione condivisibile in punto a pigione/fitto dovuti. Un eventuale contenzioso dipenderebbe dall’apprezzamento giuridico (ex  novo) di un Tribunale sul tema, dallo specifico contratto concluso fra le parti, dall’evolversi delle norme dello stato di emergenza emesse dalle autorità e, non da ultimo, dallo svolgimento effettivo delle procedure, di cui si dirà tramite separata newsletter.

Alla luce di quanto sopra, è ad ogni modo raccomandabile un’attenta analisi del contratto in essere sia a locatori sia a conduttori e affittuari, prima di intraprendere qualsiasi misura.

Traslochi

In merito alla situazione delicata concernente i rapporti di locazione e di affitto, il Consiglio federale si è incentrato specificamente pure sulla questione pendente dei traslochi, anche in considerazione del termine del prossimo 31. marzo, sovente previsto quale scadenza usuale o contrattuale di disdetta.

Anche su tale aspetto il Consiglio federale ha dato importanti indirizzi giuridici circa la possibilità di principio di eseguire i traslochi (cfr. Rapporto esplicativo relativo all’ordinanza 2 del 13 marzo 2020 sui provvedimenti per combattere il coronavirus (ordinanza 2 COVID-19), versione tedesca del 25 marzo 2020 stato 28.03.2020), con la conseguenza che l’inquilino/affittuario che non conclude il proprio trasloco diviene moroso (art. 267 CO risp. art. 299 CO) e risponde di principio del danno ingenerato al locatore/affittante, a meno che non dimostri l’assenza di propria colpa a riguardo (gli esiti di eventuali contenziosi a riguardo paiono sin d’ora di difficile previsione).

Alla luce di quanto sopra, è ad ogni modo raccomandabile sia a locatori sia a conduttori e affittuari un’attenta analisi del contratto in essere fra le parti, prima di intraprendere qualsiasi misura.

Procedure giudiziarie ed esecutive

A riguardo, come su detto, si informerà tramite separata newsletter.

Normative cantonali Ticino e Grigioni

Ad oggi il Canton Grigioni ritiene non sussistano situazioni d’emergenza particolari di cui all’art. 7e dell’ordinanza 2 COVID-19, per cui le autorità cantonali non hanno emesso nessuna ulteriore norma più restrittiva a livello cantonale o regionale (cfr. COVID-19: informazione dello Stato Maggiore (SM) Regione Moesa 27 marzo 2020) concernente l’esercizio di attività economiche.

In Ticino al contrario la situazione giuridica è più fluida e sussistono (o potranno essere emesse) misure economiche cantonali più stringenti in diversi ambiti, che potrebbero avere influenza diretta anche su determinati rapporti locativi e d’affitto e quindi essere considerate nell’interpretazione dei contratti di locazione/d’affitto, premessi attesi avalli specifici da parte delle autorità federali (https://www4.ti.ch/poteri/cds/attivita/pubblicazioni-straordinarie/).

News 15 / 27.01.2020 - Diritto prudenziale - "Entrata in vigore delle nuove normative sui servizi e sugli istituti finanziari e termini di transizione"

Lo scorso 6 novembre 2019 il Consiglio federale ha sancito l’entrata in vigore a far tempo dal 1° gennaio 2020 della Legge sui servizi finanziari (LSerFi), della Legge sugli istituti finanziari (LIsFi) e relative ordinanze (OSerFi, OIsFi, e Ordinanza sugli organismi di vigilanza, OOV), allineando in tal modo, seppur ancora solo parzialmente, l’apparato normativo svizzero a quello europeo.

Le normative si prefiggono di introdurre il cosiddetto “level playing field”, ovvero di creare pari condizioni di concorrenza per i tutti i fornitori di prodotti di investimento e servizi finanziari.

I gestori patrimoniali, i trustee e i gestori di patrimoni collettivi, fra gli altri, saranno così sottoposti dalla nuova LIsFi ad una vigilanza di tipo prudenziale, ovvero volta a garantire un’adeguata organizzazione strutturale del prestatore di servizi, come già avviene ad esempio per le Banche. Per questi attori finanziari la regolamentazione dell’organizzazione interna, così come la codifica e la gestione dei rischi giuridici, operativi e reputazionali, assumerà pertanto una nuova e ben più estesa valenza rispetto al passato. La LSerFi definirà quindi le condizioni minime da garantire nell’ambito del rapporto diretto con la clientela.

La consulenza agli investimenti finanziari, ovvero quella offerta senza poteri dispositivi sul patrimonio del cliente (tipico invece della gestione patrimoniale), sarà per ora invece ancora esentata dall’assoggettamento ad una vigilanza di tipo prudenziale come sopra esposto. Nondimeno le condizioni legali regolanti il rapporto diretto con la clientela dettate dalla LSerFi si applicheranno anche ai servizi di consulenza finanziaria, in specie gli obblighi inerenti all’informazione ed alla segmentazione della clientela, all’analisi dell’adeguatezza e dell’appropriatezza degli investimenti, le conoscenze richieste ai consulenti e la necessaria registrazione di quest’ultimi, l’affiliazione ad un organo di mediazione e le condizioni concernenti il cosiddetto foglio informativo di base ed al prospetto.

Sia per il gestore patrimoniale, sia per il consulente agli investimenti finanziari, sarà necessario verificare/sviluppare un impianto documentale delle normative interne e della contrattualistica/modulistica cliente: il primo potrà così ottenere dapprima l’autorizzazione di FINMA necessaria all’esercizio e quindi garantire in futuro un’attività adeguata sotto ogni punto di vista; il secondo potrà allineare la propria attività alle disposizioni imposte dalla LSerFi e così comprovare in caso di future contestazioni l’adempimento di tutti i connessi obblighi, anche dal punto di vista civilistico.

Le tempistiche di transizione sono state infine fissate e prevedono generalmente la necessità di allineamento alle nuove disposizioni entro l’1.1.2022. Alcuni aspetti prevedono al contrario l’obbligo di azione già entro sei mesi dall’entrata in vigore del nuovo impianto normativo, ovvero entro giugno 2020. Ciò vale in specie per la registrazione dei consulenti alla clientela al corrispettivo registro e per l’affiliazione ad un organo di mediazione.

Ad ogni modo l’iter per adempiere alle nuove esigenze legali richiede sin d’ora un’adeguata (ri)pianificazione che concernerà pressoché ogni aspetto dell’organizzazione del prestatore di servizi finanziari.

News 14 / 13.12.2017 - Diritto penale - "Fidarsi è bene...", intervista di Ticino Management all'Avv. Leandro Noi (pagg. 80-81)
News 13 / 03.11.2017 - Diritto penale - Inchiesta giornalistica RAI di TG1-TV 7 su società di comodo e sospetti di infiltrazione della criminalità italiana, include intervista all'Avv. Leandro Noi

Filmato (vedi a min 2 sec 22)

TG1 – TV 7 del 03/11/17

News 12 / 15.06.2017 - Diritto penale - "Norme a credito", intervista di Ticino Management (pagg. 56-57) a Leandro Noi
News 11 / 15.05.2017 - Diritto prudenziale - "Protezione legale in Svizzera dell'investitore finanziario estero", Leandro Noi, inserto ne "Il Sole 24 Ore", Industria e internazionalizzazione, Maggio 2017, pag. 12
News 10 / 18.02.2016 - Diritto bancario - La nuova Convenzione di diligenza delle Banche 2016 - Luca Bernasconi / Leandro Noi, in Novità fiscali, SUPSI, N° 2 Febbraio 2016, pagg. 30 e segg.
News 9 / 15.02.16 - Diritto prudenziale - "Scelte difficili per i gestori esterni", intervista di Ticino Management (pagg. 50-51) ad Alfredo Celio e Leandro Noi
News 8 / 09.07.2015 - Diritto privato - La fine delle azioni al portatore in Svizzera

La fine delle azioni al portatore in Svizzera

Nell’ambito delle misure imposte dal GAFI[1] alla Svizzera ed agli altri Stati membri dello stesso organismo internazionale, volte a prevenire il riciclaggio di denaro ed il finanziamento del terrorismo, è prevista una maggiore trasparenza anche per quel che attiene alla detenzione di azioni, le quali fondamentalmente non potranno più essere costituite nella forma di azioni al portatore anonime[2], così come invece sinora era il caso.

Oltre al cambiamento di paradigma per quanto attiene ai reati fiscali, che verranno parzialmente integrati quali reati a monte del riciclaggio[3] e quindi comporteranno l’obbligo di segnalazione alle autorità da parte degli intermediari finanziari, oltre alla limitazione delle operazioni cash liberamente eseguibili[4], nonché alla registrazione obbligatoria delle fondazioni ecclesiastiche e di famiglia (art. 6b cpv. 2bis Titolo finale Codice Civile), il GAFI è riuscito a far sì che la Svizzera ponesse “fuori legge” le azioni al portatore anonime. Le stesse sulla carta non saranno da subito abrogate, ma va da sé che un’azione al portatore “nominativa” perderà il proprio senso di esistere.

I nuovi obblighi di annuncio di seguito elencati, va premesso, non sussistono se le azioni al portatore sono quotate in borsa o rivestono la forma di azioni emesse quali titoli contabili ai sensi della legge del 3 ottobre 2008 sui titoli contabili (art. 697i cpv. 4 e 697j cpv. 3 Codice delle obbligazioni, infra CO).

Escluse quindi le tipologie di azioni al portatore di cui sopra, occorrerà di conseguenza che ogni acquisto di azioni al portatore successivo al 1. luglio 2015 sia conformemente all’art. 697i cpv. 1 CO notificato dall’azionista acquirente alla corrispettiva società anonima[5], e ciò entro un mese, pena la sospensione dei diritti sociali (art. 697m cpv. 1 CO). Qualora non intervenisse l’annuncio entro il termine suddetto, i diritti di voto sarebbero sospesi e i diritti patrimoniali (dividendi ad esempio) sarebbero perenti, ovvero decadrebbero (art. 697m cpv. 3). I diritti sociali rivivrebbero ex nunc, ovvero solo a partire dalla data del successivo annuncio dell’acquisto (art. 697m cpv. 3 seconda frase CO). Il CdA della società anonima, dovrà vegliare affinché nessun azionista eserciti i propri diritti in violazione degli obblighi di annunciare (art. 697m cpv. 4 CO). Unitamente all’annuncio dell’avvenuto acquisto di azioni al portatore, l’acquirente dovrà comprovare il possesso delle azioni ed identificarsi (art. 697m cpv. 2 CO).

Le azioni al portatore già detenute prima del 1. luglio 2015 e soggette agli obblighi di annuncio, godranno di un periodo di grazia sino al 31.12.2015 per quanto attiene alla decadenza dei diritti patrimoniali, che saranno “per la prima volta” solo sospesi (art. 3 cpv. 1 delle disposizioni transitorie).

Inoltre, ai sensi dell’art. 697j CO, chi, da solo o d’intesa con terzi, acquista azioni di una società (sia nominative sia al portatore) le cui azioni non sono quotate in borsa né rivestono la forma di azioni emesse quali titoli contabili, ottenendo in tal modo una partecipazione che raggiunge o supera il limite del 25 per cento del capitale azionario o dei voti, dovrà provvedere ad annunciare entro un mese alla società il nome, il cognome e l’indirizzo della persona fisica per la quale, in definitiva, agisce (avente economicamente diritto, di seguito ADE). Ovviamente l’azionista formale può corrispondere all’ADE (solo al primo incombono però gli obblighi di annuncio). Come già avviene nell’ambito della gestione dei conti bancari, non può quindi più sussistere un’interposizione di persona o società che possa “schermare” il nominativo del titolare effettivo del bene patrimoniale, qui l’azione al portatore, quando una partecipazione raggiunge o supera il limite del 25 per cento del capitale azionario o dei voti.

Per quanto attiene alla pregressa detenzione di quote che superano la soglia, va detto che l’obbligo di annuncio concerne unicamente la detenzione di azioni al portatore e non le azioni nominative (art. 3 delle disposizioni transitorie). Pertanto solo coloro che al 1. luglio 2015 detengono partecipazioni tramite azioni al portatore che superano la citata soglia del 25%, dovranno procedere agli annunci di cui all’art. 697j CO in punto all’ADE, entro al più tardi il 31.12.2015 (periodo di grazia).

Le disposizioni di cui sopra inerenti all’ADE valgono anche per le società a garanzia limitata (art. 790a CO), così come per le società cooperative nella misura in cui queste ultime tengono un elenco dove sono iscritti il nome e il cognome o la ditta nonché l’indirizzo di ogni socio (art. 837 CO).

Conclusioni

È pertanto palese la necessità per società quali SA e Sagl in primis, così come per gli attuali e futuri azionisti rispettivamente soci, di procedere gli uni all’implementazione delle misure necessarie (vedi elenco dei titolari di azioni al portatore e/o degli aventi economicamente diritto annunciati alla società, allestimento di nuova formularistica, controlli, adeguamento statutario, ecc.), gli altri alle segnalazioni di acquisti di azioni al portatore ed ADE, nonché, laddove prescritto, a comprovare possesso dei titoli e fornire i propri documenti di identificazione (per questi due ultimi aspetti non è ad ogni modo applicabile il termine di un mese, bensì sarebbe possibile di principio fornire anche successivamente la necessaria documentazione).

Il mancato ossequio delle nuove norme porterebbe alla sospensione di diritti sociali e l’eventuale perenzione dei diritti patrimoniali per i soci da un lato, dall’altro possibili responsabilità per gli organi societari che non provvederanno alle necessarie implementazioni.

Si può infine sin d’ora affermare come secondo dottrina maggioritaria sussista una chiara esigenza di chiarimenti specifici ma importanti, si pensi ad esempio alla modalità di computo delle soglie di detenzione di azioni, quando l’acquisizione di azioni (>25% del capitale) di una società A avviene tramite una società B, che a sua volta è detenuta da più azionisti: la partecipazione nella società A acquisita dalla società B sarà da computare su tutti i suoi azionisti, che dovranno quindi essere tutti notificati dalla società B alla società A? Sono attesi chiarimenti in merito.

[1] Gruppo di azione finanziaria. Trattasi di un organismo intergovernativo che si prefigge di fissare i parametri da applicare a livello internazionale nella lotta al riciclaggio di denaro ed al finanziamento del terrorismo. Benché le Raccomandazioni del GAFI non rivestano carattere imperativo, la mancata applicazione delle stesse può comportare gravi danni reputazionali ad una Piazza finanziaria, tali da compromettere la capacità dei propri intermediari finanziari di competere ed operare a livello internazionale. Va rilevato come contro le direttive emanate dal GAFI il cittadino elvetico, così come la stessa Confederazione (lo stesso vale per gli altri Stati), non dispone direttamente di alcun diritto politico di opposizione efficace.

[2] Cfr. Raccomandazione GAFI nr. 24 in:

http://www.fatf-gafi.org/media/fatf/documents/recommendations/Recommandations_GAFI.pdf

[3] Cfr. Paolo Bernasconi, Evasori tra due fuochi, ne “La Regione”, 16 dicembre 2014 in: http://www.pblaw.ch/repository/File/La%20Regione%20-16%2012%2014%20.pdf

[4] Ibidem.

[5] Oppure ad un intermediario finanziario specificatamente incaricato dalla SA (art. 697k CO).

LETTERATURA

Tamara Erez, Imminente entrata in vigore della Legge federale concernente l’attuazione delle Raccomandazioni del GAFI rivedute nel 2012. Novità fiscali, 2015 (6). pp. 3-4., in: http://novitafiscali.supsi.ch/id/eprint/429

Markus Vischer, Erste Antworten zu von Art. 697i- 697m OR und Art. 1–3 UeB betreffend Transparenz von Aktiengesellschaften aufgeworfenen Fragen, in:

https://www.walderwyss.com/publications/1635.pdf

Dieter Gericke/Daniel Kuhn, Neue Meldepflichten für Aktionäre und Gesellschaften, 29.05.15, in:

http://www.homburger.ch/fileadmin/publications/Homburger_Bulletin_20150529.PDF

Therese Amstutz, Neue Pflichten für Anteilseigner und Gesellschaften im Zuge der Umsetzung der GAFI-Empfehlungen, 7.4.2015, in:

http://www.kpmg.com/CH/de/Library/Articles-Publications/opportunities-and-risks/Documents/pub-20150519-chancen-risiken-neue-pflichten-anteilseigner-de.pdf

News 7 / 03.02.2015 - Diritto privato - Il Trattato di domicilio e consolare tra la Svizzera e l'Italia del 18 Luglio 1868, ne "La Rivista", Camera di Commercio Italiana per la Svizzera, Febbraio 2015

Testo presente in

La Rivista, Febbraio 2015, CCIS , pag. 32-34

News 6 / 24.12.2014 - Diritto fiscale - Orizzonti temporali del segreto bancario e voluntary disclosure, in Novità fiscali, SUPSI, N° 12 Dicembre 2014, pag. 26 e segg
News 5 / 09.12.2014 - Diritto privato - Le successioni italo-svizzere, in Corriere del Ticino 04.12.2014, pag. 41

Le successioni italo-svizzere

Storia di un trattato del 1868

La comunità italiana in Svizzera ha saputo storicamente integrarsi e contribuire al benessere comune, portando con rispetto la propria latinità e la propria energia positiva. Probabilmente in Svizzera è difficile che qualcuno possa dire di non avere mai avuto nella propria vita un collega, un amico, se non un parente italiano. Gli stessi italiani sovente, dopo un processo di acclimatazione e di radicamento nel tessuto sociale svizzero, hanno maturato un sentimento di appartenenza, magari talvolta anche critico, verso il nostro Paese e vi sono definitivamente stabiliti. Il flusso migratorio verso la Svizzera, nel 2013, è il terzo per importanza (circa 10’000 persone), secondo solo all’Inghilterra (circa 13’000) ed alla Germania (all’incirca 12’000)[1]. Pertanto il fenomeno è lungi dall’essersi esaurito.

Non va qui dimenticato come pure la presenza elvetica sul territorio italiano sia in proporzione estremamente significativa. L’Ufficio federale di statistica rileva infatti per il 2012 la presenza permanente e temporanea di 50’000 svizzeri.

In questo contesto oggigiorno è scontato evidenziare come le relazioni transfrontaliere comportino sempre più la necessità di allineamenti giuridici fra gli Stati, al fine di regolare convenientemente le situazioni tra Stato di origine e Stato di domicilio (nel senso di residenza permanente).

Per una volta il focus della discussione non è però incentrato sui rapporti fiscali, bensì sulle questioni privatistiche legate in particolare alle successioni, benché anche in questo campo non sussista chiarezza per quel che attiene alla fiscalità[2].

Nel lontano 1868 la Confederazione e l’allora Regno d’Italia stipularono il Trattato di domicilio e consolare, con cui venne stabilito che le controversie che potessero nascere tra gli eredi di un Italiano morto in Svizzera riguardo alla eredità da lui relitta, sarebbero state portate davanti al giudice dell’ultimo domicilio che l’Italiano aveva in Italia e che la reciprocità avrebbe avuto luogo nelle controversie che potessero nascere tra gli eredi di uno Svizzero morto in Italia. Il Trattato è tutt’oggi inalterato in vigore.

Ma è ancora corretto che sia così?

È ancora oggi lecito aprioristicamente sostenere che il cittadino svizzero o italiano integrato nella società del Paese di domicilio, possa ritenere adeguato che un’eventuale controversia attinente alla sua futura successione possa essere giudicata dalle autorità del Paese d’origine, a fronte di un radicamento famigliare, sociale e professionali nel Paese di domicilio? Allo stesso modo, è opportuno prevedere l’applicazione del diritto dello Stato d’origine?

È a nostro avviso lecito porsi tale domande, in quanto un Trattato che affonda le sue radici nel XIX secolo, si scontra inevitabilmente con le mutate condizioni sociali, economiche e morali che si ritrovano nel XXI secolo.

Per quanto attiene al diritto applicabile alla successione, la questione può trovare soluzione nella cosiddetta professio iuris, ovvero la scelta del diritto sostanziale, che permette, benché sussistano alcuni vincoli[3], ad ogni cittadino svizzero o italiano di sottomettere la propria successione al diritto dello Stato di domicilio.

In punto alla possibilità di una prorogatio fori, ovvero la designazione arbitraria di un Tribunale competente, il Trattato per contro limita alquanto le possibilità, soprattutto secondo prassi e dottrina italiane. In Svizzera l’opinione dominante ritiene che i cittadini italiani residenti permanentemente in Svizzera possano, in via di disposizione a causa di morte, sottomettere ai Tribunali elvetici eventuali future vertenze nel merito della loro successione. La soluzione appare però monca in quanto sussistono dubbi sul fatto che tali procedure possano espletare pienamente gli effetti anche nella giurisdizione italiana, così che si invita in questi casi a redigere due testamenti, uno per ogni Stato[4]. In Italia dottrina e prassi di maggioranza escludono infatti la proroga del foro unilaterale da parte del testatore[5].

Riassumendo la situazione odierna in funzione del Trattato di domicilio e consolare tra la Svizzera e l’Italia, in assenza di disposizioni a causa di morte ad esso deroganti, le controversie relative alla successione apertasi nello Stato di domicilio saranno giudicate presso il foro competente dello Stato d’origine che applicherà il proprio diritto nazionale.

Qualora si volesse derogare a tali regole, occorrerebbe predisporre una disposizione a causa di morte (in una forma ammessa preferibilmente in entrambi gli Stati), che, per quanto attiene al diritto applicabile, avrebbe gli effetti auspicati, mentre che in punto alla competenza nazionale potrebbe rivelarsi infine (parzialmente) inefficace.

Come considerazione finale ci sembra di poter dire che in un mondo caratterizzato dalla mobilità e da una maggiorata necessità di autonomia personale, è forse oggi opportuno rivalutare conseguentemente, da entrambe le parti del confine, il Trattato di domicilio e consolare tra la Svizzera e l’Italia del 1868 al fine di adeguare le presunzioni giuridiche in esso contenute e di altresì garantire pienamente anche l’ammissibilità della prorogatio fori in favore del Paese di domicilio, oltre alla professio iuris, fatto salvo il caso di eventuale abuso di diritto, come nel caso di un trasferimento palesemente volto a raggirare le proprie norme nazionali.

Avv. Leandro Noi, Leggia

[1] Vedi www.repubblica.it, 10 maggio 2014.

[2] Si veda in merito SAMUELE VORPE: «… e una convenzione sulle imposte di successione con l’Italia?», in www.gdp.ch, 22.05.2014.

[3] Secondo l’art. 46 cpv. 2 L. 31 maggio 1995, n. 218, un’eventuale scelta in favore del diritto elvetico, non potrà comportare la lesione dei diritti degli eredi legittimari residenti in Italia.

[4] Cfr. Comunicazione del Bezirksgericht Zürich: „Care italiane e cari italiani“.

[5] GERARDO BROGGINI, in: Studi di diritto internazionale privato e processuale, I., Napoli, 2007, 420.

News 4 / 23.10.2014 - Diritto prudenziale - Gestori patrimoniali fra LSF e LIFin

Con l’intento di creare un regime eurocompatibile nell’ambito di servizi finanziari e relativa vigilanza prudenziale, nonché di favorire nel contempo la trasparenza nei confronti dei clienti, il Dipartimento federale delle finanze ha posto in consultazione gli avamprogetti della Legge federale sui servizi finanziari (LSF) e della Legge federale sugli istituti finanziari (LIFin).

I primi ad essere toccati dall’avamprogetto sono i gestori patrimoniali e secondariamente le società di consulenza agli investimenti. I gestori patrimoniali perché saranno ex novo sottomessi ad una vigilanza prudenziale, i secondi perché, se forse risparmiati da un regime di sorveglianza, nell’ambito della loro attività saranno anch’essi confrontati agli standard di trasparenza dettati dalla LSF[1].

A nostro avviso va sempre posto in primo piano che nessun articolo dei progetti è già in vigore[2], così come va ritenuto che non è ancora dato un accordo con le autorità dell’UE sull’accesso al mercato europeo in favore degli istituti finanziari elvetici. Inoltre le opinioni delle diverse associazioni di categoria divergono, anche in maniera importante, sui vari aspetti della riforma, delineandosi fondamentalmente due tendenze: accoglienza piuttosto favorevole da parte di associazioni di categoria non legate alla gestione patrimoniale e da parte di istituti più grandi in genere, piuttosto negativa da parte di associazioni di gestori patrimoniali e da parte di intermediari più piccoli. Pressoché unanime nel settore finanziario è invece il diniego di eccessi nella tutela del cliente in ambito processuale[3] e in punto alla conformità fiscale.

Si espongono di seguito in linee generali quali sono le nuove esigenze poste all’esercizio dell’attività dei gestori patrimoniali di clienti individuali[4] secondo il progetto del DFF, cercando nel contempo di individuare i campi a nostro avviso passibili di una rivalutazione da parte delle autorità federali.

 

Autorizzazione e vigilanza

Sarà necessario garantire l’attività irreprensibile e disporre pertanto di un’organizzazione adeguata e di un efficace controllo interno, nonché assicurare la necessaria formazione del proprio personale in funzione dei servizi forniti. Cosa questo comporti, fino all’emanazione di una relativa ordinanza del Consiglio federale, non è assolutamente assodato né in punto alla struttura necessaria da implementare, né in punto agli effettivi del personale o alla garanzia o stipulazione di una assicurazione RC professionale. Si può però ipotizzare che sarà necessario riesaminare sin d’ora le proprie strutture per riuscire ad implementare nelle giuste proporzioni quanto sarà legalmente fissato dalla LIFin e, per quanto possibile, anticipare lo sviluppo di strutture minime inderogabili dell’organizzazione già oggi identificabili. La salvaguardia di diritti acquisiti secondo l’art. 125 cpv. 3 LIFin (“grandfathering”), che prevede l’esenzione dalla vigilanza prudenziale se il gestore possiede sufficiente esperienza (15 anni) e non acquisisce nuovi clienti, potrebbe essere rivista sia in senso restrittivo sia estensivo, vista a priori la poca praticabilità del “grandfathering” così come ora concepito.

Registrazione dei consulenti alla clientela

Si ipotizza un albo dei consulenti alla clientela, analogamente a quello degli avvocati, in cui ogni singolo consulente debba essere iscritto, inclusi i consulenti alle dipendenze di un istituto finanziario autorizzato (art. 29 segg. LSF).

A nostro avviso, nel senso di un approccio equilibrato e prudente verso i molteplici cambiamenti proposti, viste le diverse obiezioni sollevate su questo registro e considerato come non sussista una pressione dell’UE su questo punto[5], pertanto ritenuto da diverse parti un eccessivo “Swiss finish”, è forse prematuro prendere concretamente in considerazione tale registro. D’altro canto la formazione e l’aggiornamento della consulenza, premessa per operare con la clientela, dovranno verosimilmente essere attualizzati e formalizzati in funzione delle future esigenze.

Indipendenza e retrocessioni

Ai sensi dell’art. 9 LSF 
i fornitori di servizi finanziari si potranno definire indipendenti soltanto se prendono in considerazione un numero sufficiente di strumenti finanziari offerti sul mercato e, in relazione alla fornitura del servizio, se non accettano vantaggi da terzi oppure accettano vantaggi facendone però beneficiare i clienti.

In questo ambito sembrano ineluttabili misure di maggiorata trasparenza e aggiornamenti delle proprie formalità per evitare in particolare i conflitti di interesse, sia per una questione di vigilanza prudenziale, sia nella rielaborazione del proprio business model, così come per tutelare maggiormente l’istituto finanziario in casi di futuri contenziosi giuridici con i clienti. L’orientamento generale nella prassi giuridica verso la protezione dell’investitore, a prescindere dall’iter delle riforme legislative in discussione, sembra ormai delineato ed imporrà verosimilmente maggiore attenzione anche sulla garanzia di indipendenza nell’esecuzione del mandato da parte dell’istituto finanziario. L’art. 25 LSF impone l’adozione di provvedimenti organizzativi adeguati, disciplinati da una futura ordinanza del Consiglio federale, per evitare conflitti d’interesse nella fornitura di servizi finanziari o per escludere lo svantaggio da essi derivanti. Laddove non fosse possibile, l’art. 25 LSF sancisce l’obbligo di informare conseguentemente i clienti. Per quanto attiene in particolare alle retrocessioni, l’art. 26 LSF riprende i criteri fissati dalla giurisprudenza del Tribunale federale[6] e ripresi nella Circolare FINMA 09/1, cifre 27-31[7].

Segmentazione della clientela ed obblighi di documentazione

Come per indipendenza e retrocessioni, sarà ineluttabile rivedere le modalità di informazione della propria clientela attraverso un’adeguata diversificazione della stessa in funzione delle tipologie di investitori con cui si è confrontati, per i quali andrà altresì predisposto un esaustivo profilo. L’avamprogetto legislativo, sulla falsa riga della MIFID europea, differenzia tre categorie: clienti privati, clienti professionali e istituzionali. A queste categorie si affiancano le analisi dell’idoneità e dell’adeguatezza degli investimenti, che andranno o meno eseguite, in funzione della presunta preparazione del cliente, ritenuta data a priori per clientela istituzionale.

A prescindere dai contenuti delle categorie ideate dalla LSF e dal tenore delle verifiche necessarie, è importante rivedere il proprio approccio verso la clientela per delineare degli standard minimi di diversificazione e di controllo dell’opportunità degli investimenti che possano allinearsi con le nuove tendenze, formalizzando le misure adottate in sintonia con gli obblighi di documentazione di cui all’art. 15 LSF, senza stravolgere, nei limiti del possibile, l’assetto operativo attuale.

Ciò anche in considerazione delle intenzioni del Governo di agevolare l’esecuzione di pretese civili, in particolare tramite l’inversione dell’onere della prova per quanto attiene l’avvenuta informativa ai sensi delle disposizioni legali (art. 74 LSF). Anche su questo punto, partendo dalla considerazione che il futuro sembra ad ogni modo indirizzato verso una maggiore protezione dell’investitore, si può a nostro avviso prevedere la necessità di maggiore tutela degli intermediari finanziari stessi tramite l’allestimento di verbali e documenti probatori da produrre in caso di contenzioso con il cliente.

Conformità fiscale (art. 11 LIFin)

L’obbligo di verifica della conformità fiscale ricadrebbe su tutti gli istituti soggetti alla vigilanza prudenziale[8], per la clientela residente in quei Paesi con cui la Svizzera non ha concluso un accordo sullo scambio automatico di informazioni in materia fiscale secondo uno standard riconosciuto a livello internazionale. Il Consiglio federale sarebbe incaricato di coordinare l’entrata in vigore di questa norma. In questo contesto si evidenzia da un lato come i futuri standard di scambio di informazioni in materia fiscale potrebbero prevedere un effetto retroattivo finanche triennale[9], dall’altro si rileva come la Weissgeldstrategie sia ormai riferimento obbligato nei business model di qualsiasi istituto finanziario elvetico[10]. I rischi giuridici e reputazionali nazionali ed internazionali[11], così come il nuovo assetto deontologico dell’intera Piazza finanziaria elvetica voluto dalle autorità, non lasciano più margine per la gestione di fondi fiscalmente non trasparenti di residenti esteri, a prescindere dall’entrata in vigore dell’art. 11 LIFin o dai connessi obblighi di segnalazione per casi gravi di evasione fiscale quali reati preliminari del riciclaggio secondo la prevista riforma della Legge sul riciclaggio di denaro (LRD).

Conclusioni

È innegabile che i gestori patrimoniali e i consulenti agli investimenti si troveranno confrontati a rilevanti cambiamenti normativi, di cui si ignorano ancora i contorni definitivi, fatto che non agevola la pianificazione delle future strategie operative. Sarà pertanto necessario confrontarsi in modo serio ed equilibrato con gli sviluppi legali, onde trovare le soluzioni adeguate per la propria struttura, sia per i piccoli intermediari sia per le entità di dimensione maggiore. L’outsourcing di servizi potrebbe essere preso in considerazione soprattutto dalle strutture più piccole.
L’auspicato accesso al mercato UE, nonostante nuove leggi, ad oggi non è da ritenersi garantito, per cui potrebbe essere valutata, da parte di alcuni gestori patrimoniali, una limitazione delle proprie attività alla mera consulenza agli investimenti per sottrarsi alla vigilanza prudenziale (non agli obblighi dettati dalla LSF), così come un trasferimento all’estero di proprie strutture, laddove vi fosse uno Stato che garantisse alla FINMA assistenza amministrativa in ambito di vigilanza, premesso che la registrazione di istituti finanziari esteri operanti sul territorio elvetico potrebbe comunque essere inderogabile e che gli standard imposti dalla LSF sarebbero applicati anche sui servizi crossborder verso la Svizzera.

[1] Cfr. Rapporto esplicativo per la procedura di consultazione, cifra 1.3.2.1. Le norme contenute nella LSF dovrebbero altresì concretizzare i principi regolanti il rapporto civile tra cliente e istituto finanziario. La lesione degli obblighi previsti dalla LSF può comportare una sanzione penale a prescindere dalla vigilanza prudenziale, vedi art. 121 LSF che si applica a “chiunque” operi illecitamente.

[2] Entrata in vigore prevista per il 2017.

[3] D’altro avviso ad esempio Stiftung für Konsumentenschutz. Vedi anche il dibattito sulla presunta „discriminazione processuale“ del settore finanziario in Tages Anzeiger 17.10.2014 .

[4] Categoria distinta da quella dei gestori patrimoniali qualificati ai sensi dell’art. 21 LIFin, che gestiscono a titolo professionale valori patrimoniali a nome e per conto di investimenti collettivi di capitale e istituti previdenziali.

[5] Cfr. Rapporto esplicativo per la procedura di consultazione, cifra 1.6.2.3. Va rilevato che diverse normative nazionali, come quelle tedesche, prevedono l’iscrizione in un registro dei consulenti. Per quel che attiene alle evoluzioni in Italia sulla vigilanza in ambito della consulenza finanziaria si veda ad esempio http://www.advisoronline.it .

[6] Cfr. DTF 138 III 375 e DTF 137 III 393 consid. 2.4.

[7] https://www.finma.ch/i/regulierung/pagine/rundschreiben.aspx

[8] Cfr. Rapporto esplicativo per la procedura di consultazione, commento ad art. 11 LSF.

[9] In merito agli standard CRS dell’OCSE e alla retroattività nell’assistenza amministrativa in materia fiscale previsti da OCSE e Consiglio d’Europa si veda la precedente News 2.

[10] Si veda a riguardo la precedente News 3 e le prese di posizione di FINMA, ASB e ABES in tema di Weissgeldstrategie ivi riportate.

[11] Si ponga mente ad esempio alla copertura penale verosimilmente garantita ad intermediari esteri nell’ambito della voluntary disclosure italiana, solo però nel caso di regolarizzazione dei fondi da parte del cliente.

News 3 / 17.10.2014 - Diritto bancario - Blocco dei conti di correntisti italiani da parte di banche svizzere e voluntary disclosure italiana

Blocco dei conti di correntisti italiani da parte di banche svizzere e voluntary disclosure italiana

È ormai fatto notorio che le banche elvetiche stiano attuando politiche più o meno restrittive nell’ambito della movimentazione di conti detenuti da cittadini stranieri che potrebbero non avere ottemperato ai propri obblighi fiscali.

Dal punto di vista della vigilanza bancaria gli istituti soggiacciono all’obbligo di prevenire rischi giuridici e reputazionali. Fra questi è ormai radicato il problema della non trasparenza fiscale dei fondi depositati dalla clientela, così come attestato da prese di posizione generali della Autorità federale di vigilanza sui mercati finanziari (FINMA)[1], da comunicati stampa della Associazione Svizzera dei Banchieri (ASB)[2] e da informative dell’Associazione delle banche estere in Svizzera (ABES)[3].

Si sta dibattendo attualmente a Berna una nuova legge sugli istituti finanziari (LIFin) che introdurrebbe nel suo articolo 11 il principio della verifica da parte degli istituti finanziari in punto alla conformità fiscale dei fondi dei propri clienti (senza per altro prevedere ad oggi alcuna differenziazione tra contribuenti indigeni ed esteri), che andrebbe a concretizzare la cosiddetta “Weissgeldstrategie”. Anche la legge federale relativa alla lotta contro il riciclaggio di denaro e il finanziamento del terrorismo nel settore finanziario (LRD) dovrebbe essere modificata nel senso di obbligare in futuro le banche svizzere a segnalare casi gravi di evasione fiscale.

Viste le incertezze in merito alla retroattività dell’applicazione delle norme contenute nei progetti legislativi suddetti[4], le banche, sulla base degli approcci deontologici indicati da FINMA e associazioni di categoria, stanno attuando una prassi restrittiva volta a ridurre o impedire la movimentazione di fondi non dichiarati, onde evitare di incorrere un domani, non troppo lontano, in sanzioni da parte dell’autorità di vigilanza o peggio ancora da parte di autorità penali estere. Va infatti ricordato come ad esempio per il diritto italiano l’accettazione consapevole di fondi non dichiarati e una successiva liberazione degli stessi via contante, potrebbe configurare il reato di riciclaggio di denaro.

Come ben illustrato da esperti nel campo specifico, queste prassi non poggiano su una chiara base legale[5]. La stessa ministra delle finanze Eveline Widmer-Schlumpf ha ricordato a fine 2013 in Parlamento, rispondendo ad una mozione, che non sussistono disposizioni legali che fissino dei limiti operativi al prelievo in contanti[6], fatto salvo per quel che attiene al riciclaggio di denaro sporco, ovvero proveniente da crimini.

Le banche, temendo ripercussioni legali e reputazionali a causa delle prossime norme elvetiche sulla trasparenza fiscale, e, in particolare, temendone un effetto retroattivo, ovvero temendo di vedersi rimproverare dalla FINMA una collaborazione in riciclaggio di fondi provenienti da evasione in base ad una norma che ad oggi in Svizzera ancora non è in essere (lo è però all’estero), tendono ad anticipare i tempi e ad indurre la clientela ad approfittare delle procedure di regolarizzazione offerte dal loro Paese o a invitarla a lasciare l’istituto, preservando però nel contempo la tracciabilità delle operazioni di chiusura ed evitando così di agevolare la “fuga” della clientela dal proprio fisco. Dunque sono osteggiati prelievi cash e bonifici verso Paesi offshore, che potrebbero precludere agli istituti eventuali coperture penali in progetto in Italia[7].

Nel caso estremo la banca preferirà portare la clientela davanti al Giudice civile per ottenere il suggello sulla bontà del proprio operato: o i fondi non saranno sbloccati dal Giudice e quindi il comportamento della banca sarà ritenuto corretto, oppure vi sarà un ordine del Tribunale che libererà i fondi e quindi anche la banca dal proprio imbarazzo di decidere autonomamente sul caso.

Il Giudice civile dovrà pertanto prendersi la responsabilità di decidere caso per caso se optare per favorire il diritto privato relativo al contratto di mandato, che prevede per il mandatario l’obbligo di eseguire le istruzioni del cliente, oppure se ritenere già ad oggi data una giustificazione in favore della banca per non eseguire determinate movimentazioni, ordinate dai suoi clienti, sulla base dei rischi legali svizzeri e a livello internazionale.

Voluntary disclosure italiana: valida alternativa da offrire al cliente?

Uno dei criteri per concedere alla banca il mantenimento del blocco o della restrizione della movimentazione da parte del Giudice civile potrebbe essere rappresentata dall’offerta alla clientela di operatività alternative, tra le quali potrebbe essere presa in considerazione un sostegno nella regolarizzazione dei fondi nel proprio Paese di residenza, così come richiesto dalle banche svizzere[8].

La posizione di dottrina e prassi elvetiche è sempre stata caratterizzata dal principio che esclude un danno patrimoniale del cliente, quando i suoi dati bancari sono comunicati all’estero e la dovuta tassazione viene applicata dallo Stato di residenza. Questo può essere condiviso dal punto di vista del danno patrimoniale, trattandosi di una posta legalmente dovuta.

Per quanto attiene però alla sostenibilità della voluntary disclosure italiana, così come attualmente in discussione e dunque non ancora in essere, quale alternativa offerta dalla banca al prelievo o al trasferimento dei fondi, nell’ottica del cliente va rilevato che la voluntary disclosure non contempla, per quanto estesa, una garanzia completa ed univoca di esenzione dalle conseguenze del diritto penale (fiscale) italiano[9], che a determinate condizioni potrebbe ovviamente comportare anche la reclusione[10]. In particolare alcune fattispecie di reati basati sulla frode e di carattere societario non godrebbero di copertura penale. La nuova fattispecie penale dell’autoriciclaggio verrebbe ad ogni modo a cadere, quantunque a determinate condizioni[11].

Importante è evidenziare che, dal punto di vista sanzionatorio, i detentori di conti in Stati “black list”, che entro due mesi sigleranno un accordo di scambio di informazioni, potranno usufruire dello stesso trattamento rispetto a coloro che hanno depositato i loro fondi in paesi “white list”[12].

In uno Stato di diritto nessuno è di principio costretto a denunciarsi né a collaborare attivamente contro se stesso in un procedimento penale. Pertanto è ipotizzabile che, senza chiare basi legali svizzere e italiane, i Tribunali civili svizzeri arrivino già oggi e in futuro a ritenere attuabile una restrizione della movimentazione di un conto corrente bancario sulla base della possibilità per il cliente di procedere ad una voluntary disclosure, così come discussa dal Parlamento italiano, che non esclude ancora in assoluto la persecuzione penale dell’autodenunciante? Se sì, a quali premesse?

Queste domande restano aperte. Si sa che i Tribunali di prima istanza per ora oscillano tra sentenze pro cliente e sentenze pro banca. Nel futuro prossimo dovrebbero essere emesse sentenze di tribunali cantonali superiori che potrebbero infine concretizzare i parametri legali applicabili.

Va da sé che vieppiù si andrà a concretizzare il citato progetto di “Weissgeldstrategie” inserito nell’art. 11 LIFin e le procedure di regolarizzazione estere, così come qualora dovessero essere ratificate convenzioni internazionali che impongono la retroattività nello scambio di informazioni fiscali[13], tanto più l’offerta di una concreta regolarizzazione fiscale fatta dalla banca svizzera al cliente avrebbe maggiore legittimazione giuridica e peso nella ponderazione degli interessi. Il Giudice civile si troverà infatti domani confrontato a norme di diritto pubblico, che vincolano le banche in ambito fiscale, ben più delineate rispetto ad oggi e quindi la probabilità che l’eventuale contenzioso giuridico tra banca e cliente, in merito alle restrizioni sulla movimentazione imposte dall’istituto, possa essere deciso in favore di quest’ultimo andrà verosimilmente aumentando con il passare del tempo.

[1] Cfr. Posizione FINMA sui rischi giuridici del 22.10.2010 e relative FAQ 19.06.2012 rispettivamente in http://www.finma.ch/i/finma/publikationen/Documents/positionspapier_rechtsrisiken_i.pdf e

http://www.finma.ch/I/FAQ/BEAUFSICHTIGTE/Pagine/faq-grenzueberschreitendes-geschaeft.aspx .

[2] http://www.swissbanking.org/it/20131129-2000-bri-steuerkonformitaetstrategie_mitgliederversand_def_de-sme.pdf

[3] Nella News di Settembre 2014 dell’ABES si segnalano “casi in cui i clienti che non desiderano regolarizzare la loro situazione fiscale trasferiscono i capitali a delle banche svizzere. Una banca che accetta tali leavers è in contravvenzione con le raccomandazioni dell’Associazione Svizzera dei Banchieri. Le banche sono riluttanti a versare in contanti il patrimonio di leavers; il paper trail deve rimanere intatto. Le banche suggeriscono di trasferire il patrimonio su un conto bancario nominativo nel paese di residenza del cliente. Apparentemente tribunali di diversi cantoni considerano che la banca agisce correttamente se rifiuta il pagamento in contanti in caso di dubbio circa la regolarità della situazione fiscale del cliente”.

[4] Vedi anche la precedente News 2 in relazione alla possibile retroattività in ambito di assistenza amministrativa in materia fiscale.

[5] Cfr. Paolo Bernasconi, Patrimoni depositati e istruzioni dei clienti, in CdT 26.08.2014 e in http://www.egi-offshore.com/articoli-blog/svizzera-banche-bloccano-prelievi-bancari-a-correntisti-stranieri.html

[6] Cfr. http://www.tio.ch/News/Affari/766698/Prelievi-in-contanti-per-ora-nessun-controllo-piu-severo/

[7] In merito alle importanti coperture penali garantite agli intermediari esteri nel progetto di voluntary disclosure italiana vedi http://www.compliancenet.it/voluntary-disclosure

[8] Vedi note 2 e 3.

[9] Cfr. Leo De Rosa, in http://www.intermediachannel.it/rientro-dei-capitali-ecco-come-investire/

[10] Cfr. elenco delle sanzioni tributarie e penali redatto dall’Agenzie delle entrate in http://www.agenziaentrate.gov.it/wps/file/Nsilib/Nsi/Agenzia/Agenzia+comunica/Prodotti+editoriali/Guide+Fiscali/Agenzia+informa/pdf+guide+agenzia+informa/Guida_Le_sanzioni_tributarie_e_penali.pdf , pag. 9 segg.

[11] Cfr. http://www.assinews.it/articolo_stampa_oggi.aspx?art_id=26026

[12] Per una visione generale sugli aspetti procedurali, penali e sanzionatori della legge italiana vedi http://www.ansa.it/sito/notizie/politica/2014/10/16/rientro-capitali-o-autoriciclaggio.-ok-camera-ora-senato_c7582f9a-10a6-411d-8dd5-ca024f00199a.html 

[13] Vedi precedente News 2.

News 2 / 14.10.2014 - Diritto fiscale - Orizzonti temporali dell'evoluzione nell'ambito dell'assistenza amministrativa elvetica in materia fiscale: fine dello status quo e retroattività

In data 8 ottobre 2014 il Consiglio federale ha inoltrato una lettera al Forum globale mondiale sulla trasparenza e sullo scambio di informazioni che attesta la volontà delle autorità elvetiche di aderire ai nuovi standard OCSE sullo scambio di informazione[1] dal 2017[2], anno in cui gli istituti bancari elvetici inizieranno a raccogliere i dati da fornire al fisco estero, da inoltrare a partire dal 2018[3].

Questo significa in concreto che le banche svizzere, così come quelle dei Paesi OCSE, filtreranno dapprima la residenza fiscale della propria clientela sulla base di criteri (indizi)[4] standardizzati dall’OCSE, che impongono una minuziosa verifica, e quindi procederanno alla segnalazione automatica delle posizioni rilevanti ad ognuno degli Stati firmatari di una convenzione contro la doppia imposizione (CDI) con la Svizzera.

Tutto questo benché gli standard OCSE non rappresentino a priori norme di diritto imperativo, né men che meno siano stati votati dal popolo svizzero. A fronte però del peso politico dell’organizzazione internazionale in ambito finanziario, si pensi solo all’effetto intimidatorio delle liste nere e grigie, de facto i criteri OCSE non possono più di principio essere ignorati da qualsiasi Stato.

Entro il 2017 al più tardi ogni conto di residenti stranieri verrà sistematicamente rilevato dalle banche svizzere e quindi comunicato alle autorità estere di riferimento.

Un contribuente straniero può dunque ancora attendere almeno sino al 2017 per valutare un’eventuale regolarizzazione nei confronti delle proprie autorità fiscali?

In questo contesto va dapprima presa in considerazione la Convenzione sulla reciproca assistenza in materia fiscale del Consiglio d’Europa e dell’OCSE, una convenzione quadro che verrà integrata in futuro nelle CDI bilaterali della Svizzera e degli altri Stati firmatari della Convenzione.

Come per quanto attiene agli standard OCSE in genere, non sussiste per la Confederazione un obbligo formale di aderire a tale convenzione. Va da sé che, come per lo standard insito nell’art. 26 del modello OCSE relativo all’assistenza amministrativa, che prevede la stessa anche in ambito di evasione fiscale, o come per i summenzionati standard CRS annunciati dall’OCSE nel luglio di quest’anno[5], la non ottemperanza al quadro previsto dalla Convenzione sulla reciproca assistenza in materia fiscale del Consiglio d’Europa e dell’OCSE potrebbe anch’essa un domani ingenerare finanche l’esclusione della Svizzera dal circuito finanziario internazionale.

Non a caso il Consiglio federale ha già sottoscritto questa convenzione quadro nell’ottobre del 2013.

L’interesse per questa convenzione verte qui sugli aspetti dell’applicazione temporale della stessa. Essa prevede infatti una retroattività minimale di tre anni dall’entrata in vigore della CDI che ne adotterà lo standard[6]. Ciò significa che se la Svizzera ratificasse tale accordo multilaterale, la Confederazione potrebbe essere costretta ad accettare richieste di assistenza amministrativa in materia fiscale vertenti su fattispecie risalenti almeno sino a tre anni prima dell’inoltro delle domande.

Se il Parlamento elvetico dovesse dunque ratificare la Convenzione sulla reciproca assistenza in materia fiscale del Consiglio d’Europa e dell’OCSE, sottoscritta dal Consiglio federale, le Convenzioni in essere sullo scambio di informazioni e quelle future che verranno concluse secondo gli standard OCSE, avrebbero un effetto retroattivo almeno per gli anni fiscali 2015-2017, se non oltre, qualora la CDI prevedesse una retroattività ancora più estesa.

Se fosse posta in essere la Convenzione sulla reciproca assistenza in materia fiscale del Consiglio d’Europa e dell’OCSE, in altre parole, tutti i dati presenti in una banca elvetica al più tardi al 1. gennaio 2015 potrebbero potenzialmente essere oggetto di domande di assistenza in materia fiscale da parte di autorità estere.

Una vera e propria spada di Damocle per cui la certezza del diritto elvetico nell’ambito dell’assistenza amministrativa in materia fiscale potrebbe essere ulteriormente messa a dura prova a partire da quella data. Problematica che non giunge sola.

In genere la Svizzera aveva sinora rinegoziato CDI secondo i nuovi standard OCSE limitando lo scambio di informazioni di principio all’anno seguente l’entrata in vigore delle norme procedurali. Con l’introduzione della Legge sull’assistenza amministrativa in materia fiscale (LAAF), senza che ve ne fosse una palese necessità giuridica e nonostante le restrizioni di diritti costituzionali del caso[7], palesando problemi discriminatori in ambito OCSE[8], il Consiglio federale ha optato di procedere all’aggiornamento unilaterale di tutte le CDI in essere conformemente allo standard OCSE e di concedere di principio domande raggruppate ex LAAF con effetto dal 1° gennaio 2013[9].

 

All’art. 1 cpv. 2 dell’ordinanza sull’assistenza amministrativa fiscale (OAAF) si precisa da parte del Consiglio federale a riguardo dell’applicabilità temporale della LAAF:

“Sono fatte salve le disposizioni derogatorie della convenzione applicabile nel singolo caso“ .

È però lecito pensare che l’offerta anticipata del Consiglio federale di retroattività al 1° gennaio 2013 andrà a influenzare le trattative con uno Stato estero per l’aggiornamento di una CDI.

[1] OCSE, Standard for automatic exchange of financial account information, Common Reporting Standard (CRS), 2014.

[2] Va detto che altri Stati, come Italia e Francia, hanno manifestato l’intenzione di procedere già nel 2016 alla raccolta dati e dal 2017 allo scambio di informazioni.

[3] Il nuovo standard OCSE, una sorta di FATCA “soft” multilaterale, di per sé non è retroattivo, riservato quanto detto successivamente con riferimento alla Convenzione sulla reciproca assistenza in materia fiscale del Consiglio d’Europa e dell’OCSE.

[4] Ad esempio, oltre alla nazionalità, l’indirizzo di residenza e il numero di telefono del cliente, così come la presenza di un procuratore residente estero piuttosto che ordini permanenti di bonifico verso un determinato Stato.

[5] Vedi nota 1.

[6] Cfr. http://www.news.admin.ch/NSBSubscriber/message/attachments/32299.pdf

[7] In merito agli aspetti costituzionali relativi al diritto di essere sentito (art. 29 CF) e alla garanzia della via giudiziaria (art. 29a CF), in particolare la loro intangibilità (art. 36 CF), si rimanda al contributo di Francesco Naef in http://www.supsi.ch/fisco/pubblicazioni/novita-fiscali/anno-2014/febbraio.html .

[8] Cfr. risposta del Consiglio federale datata 26.02.2014 alla mozione del parlamentare Ruedi Noser in http://www.parlament.ch/d/suche/seiten/geschaefte.aspx?gesch_id=20134269

[9] Sulle possibili varianti considerabili dal Consiglio federale cfr. Vorpe/Macchi/Molo, Il nuovo standard OCSE in materia di assistenza amministrativa ammette le domande raggruppate, in Rivista ticinese di diritto, II-2012, pag. 749 e seg., in specie nota 38.

News 1 / 13.10.2014 - Diritto fiscale - Libero accesso alle informazioni bancarie per tutte le autorità straniere, in particolare italiane, senza preavviso alle persone interessate?

Si legge sulla stampa che le autorità fiscali della Penisola avrebbero ora la possibilità di accedere alle informazioni relative ai conti bancari detenuti in Svizzera da cittadini italiani, analogamente al recente caso francese che ha coinvolto una nota banca elvetica, sulla base della Legge federale sull’assistenza amministrativa internazionale in materia fiscale (LAAF), la quale avrebbe valenza universale, in specie anche per l’Italia. Si tratta di una legge svizzera che apre la porta alle cosiddette richieste raggruppate di informazione e non premette, a determinate condizioni, una procedura giudiziaria con possibilità di ricorso prima dell’invio delle informazioni all’estero.

Va innanzitutto ricordato che l’assistenza amministrativa internazionale in materia fiscale elvetica si basa su accordi multilaterali o bilaterali di diritto internazionale, che sono la premessa di ogni assistenza. Su questa premessa poggia anche la recente LAAF, la quale premette l’esistenza di una clausola di scambio delle informazioni fiscali nell’ambito di una convenzione contro la doppia imposizione (CDI)[1] con un determinato Stato.

Il caso summenzionato di assistenza da parte delle autorità elvetiche e relativo a 300 conti di residenti francesi[2] si basa sulla CDI del 2010 sottoscritta tra Svizzera ed autorità transalpine che prevede uno scambio di informazioni secondo il cosiddetto standard OCSE[3], ovvero uno scambio che permette il passaggio di informazioni anche solo in ambito di “mera” evasione fiscale[4].

Dunque con la Francia una clausola “generale” di scambio di informazioni in grado di coprire anche i casi di evasione è già in essere[5]. La LAAF va unicamente ad ampliare ed agevolare le richieste di Stati che, come la Francia, sono già in grado di richiedere informazioni per l’applicazione del diritto interno. Questi Stati potranno inoltrare domande raggruppate per più casi di presunte infrazioni fiscali senza dovere identificare ognuno dei possibili evasori con informazioni circostanziate, eventualmente senza dovere attendere l’esito di un ricorso in Svizzera se vi sono motivi di urgenza validamente esposti dalle autorità richiedenti[6] (per inciso va rilevato che le autorità elvetiche (AFC) hanno smentito di avere proceduto nel caso francese succitato senza avere preventivamente informato i diretti interessati dalla procedura[7]).

Tutto questo ad oggi non vale per l’Italia.

Le trattative ferme tra Svizzera e la Repubblica italiana in ambito fiscale comportano che la CDI in essere tra i due Stati sia rimasta al previgente standard internazionale e dunque l’assistenza per presunte evasioni fiscali non è fondamentalmente in essere. Non esistendo uno scambio secondo l’art. 26 del modello OCSE tra i due Paesi all’interno della CDI tra Italia e CH, la LAAF non può essere applicata alle richieste di assistenza amministrativa italiana.

Ne consegue che, ad oggi, i contribuenti italiani detentori di relazioni in Svizzera non possono essere oggetto di domande di assistenza (raggruppate) italiane per semplice evasione fiscale, né tanto meno essere oggetto delle stesse senza preventiva informativa da parte delle autorità elvetiche. Per ora, nonostante i rimproveri da parte di Berna che vorrebbe a breve un nuovo accordo[8], vige ancora lo status quo nei confronti dell’Italia.

Per cercare di ipotizzare per quanto tempo ancora si invita a leggere la successiva News 2.

[1] Art. 2 e art. 7 lett. b LAAF; cfr. Rapporto esplicativo del Consiglio federale concernente la legge sull’assistenza amministrativa fiscale, commento ad art. 1 cpv. 2 e ad art. 7 lett. b.

[2] Paolo Bernasconi, “Fisco, multe e clienti: la miscela incendiaria”, in CdT 07.10.2014.

[3] L’OCSE è un’organizzazione internazionale che, fra i vari compiti, fissa dei parametri di trasparenza fiscale, il cui mancato rispetto può comportare de facto l’esclusione dal circuito finanziario internazionale di uno Stato.

Lo standard OCSE è principalmente riferito all’art. 26 del cosiddetto modello OCSE.

[4] In passato un contribuente estero che semplicemente (senza frodi) ometteva di dichiarare determinati fondi, non doveva temere che le proprie autorità fiscali potessero ricevere informazioni bancarie dalla Svizzera.

[5] Vedi elenco delle CDI con e senza standard OCSE del Dipartimento federale delle finanze in https://www.sif.admin.ch/sif/it/home/themen/internationale-steuerpolitik/doppelbesteuerung-und-amtshilfe.html

[6] In merito agli aspetti costituzionali relativi al diritto di essere sentito (art. 29 CF) e alla garanzia della via giudiziaria (art. 29a CF), in particolare la loro intangibilità (art. 36 CF), si rimanda al contributo di Francesco Naef in http://www.supsi.ch/fisco/pubblicazioni/novita-fiscali/anno-2014/febbraio.html

[7] http://www.nzz.ch/wirtschaft/bern-schickt-100-kundendossiers-der-ubs-nach-frankreich-1.18398467

[8] http://www.cdt.ch/svizzera/politica/116875/widmer-schlumpf-a-padoan-ora-basta.html